VINCENZO AGNETTI
Catalogo
testimonianza
Mostra 2015
Biografia

Prima di Vincenzo Agnetti, solo Laurence Sterne aveva avuto il coraggio di passare dalla linearità della scrittura al disegno di una linea con curve, angoli e altri sviluppi grafici nel 40° capitolo del VI Libro del suo romanzo Tristram Shandy. Quella licenza inqualificabile da lui assunta, che aveva attraversato un paio di secoli pressoché inosservata o tutt’al più accettata senza suscitare troppi ma e troppi perché, l’aveva però notata Luciano Fabro, che ne aveva compreso tutta l’abnormità al punto da effettuare un vero prelievo della pagina e tramutare quel ghirigoro grafico nella forma di un’opera dal titolo C’est la vie (1986). Ma quando Agnetti nella concezione e realizzazione della sua Tesi (1968-1972) traccia tre disegni di segmenti spezzati, intercalandoli all’enunciato di tre entità temporali, rispettivamente il tempo proporzionale, il tempo integrale e il tempo derivato, in quel gesto si ha la netta sensazione di trovarsi al cospetto di un autore in grado di coniugare ogni differente logica di significazione con le più libere associazioni dell’immaginario. […]
Bruno Corà, Vincenzo Agnetti: enunciati tesi al superamento, testo in catalogo

[…] Dalla fine degli anni Cinquanta si avvicina alla pittura informale e alla poesia, ma, resosi conto dei limiti dell’immagine e della parola, sceglie di dedicarsi soltanto al momento germinale delle opere, circoscrivendo la sua attività al dialogo con i componenti del gruppo milanese Azimuth ed alla scrittura di testi teorici sulla loro rivista. Ancor più convinto dell’inadeguatezza della pittura, nel 1962 abbandona qualsiasi rapporto diretto con l’operare artistico e, trasferitosi in Argentina, giunge a formulare il concetto di ‘liquidazionismo’ o ‘arte no’: rifiuta totalmente la pittura per sostituirla con la parola scritta in innumerevoli quadernetti, mai riletta né riorganizzata, ma lasciata allo stadio di pura intuizione ivi abbozzata. Intraprende così una profonda riflessione sul linguaggio che lo conduce a redigere tra il 1963 e il 1965 Obsoleto, un ‘antiromanzo’ in cui decostruisce i postulati del senso comune per smascherare la relatività di ogni convenzione linguistica e per recuperare al contempo il perduto, l’obliterato, il disperso. […]

[…] Agnetti continua senza sosta a dimostrare come «una parola vale l’altra ma tutte tendono all’ambiguità». Attraverso paradossi, contraddizioni e tautologie, in ogni suo lavoro smaschera l’inganno intrinseco al linguaggio, alla tecnologia e ai moderni strumenti di comunicazione che sempre veicolano un potere. Cerca in ogni modo di disancorare il linguaggio dall’uso alienante che ne fa la società moderna, superandone il senso e andando alla ricerca di un linguaggio universalmente comprensibile (quello numerico), capace sia di ridurre all’unità la polisemia intrinseca alla parola, sia di rendere lo spettatore parte integrante di tale processo. […]
Ilaria Bernardi, Vincenzo Agnetti: «una parola vale l’altra ma tutte tendono all’ambiguità», testo in catalogo