Mauro Staccioli, Marking Space, galleria Il Ponte, Firenze_01
Mauro Staccioli, Marking Space, galleria Il Ponte, Firenze_04
Mauro Staccioli, Marking Space, galleria Il Ponte, Firenze_06
Mauro Staccioli, Marking Space, galleria Il Ponte, Firenze_10
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Mauro Staccioli, Marking Space, galleria Il Ponte, Firenze_16
Mauro Staccioli, Marking Space, galleria Il Ponte, Firenze_18
MAURO STACCIOLI Biografia
Lo spazio segnato Cataloghi
a cura di ALBERTO FIZ
11 maggio – 27 luglio 2018

Dopo l’anteprima nel proprio stand a miart 2018 e in attesa della mostra monumentale alle Terme di Caracalla di Roma, Il Ponte presenta nei propri spazi Mauro Staccioli. Lo spazio segnato.
La mostra, progettata in collaborazione con l’Archivio, offre una selezione di opere significative nell’articolata produzione di Mauro Staccioli, contestualizzate da una breve ricostruzione filologica.
Particolarmente interessante la ricostruzione dell’ambiente (parete in cemento con punta in ferro) creato da Mauro Staccioli nel 1975 per la galleria Studio Sant’Andrea a Milano.

 

“Non c’è dubbio che la scultura sia una ‘modulatrice dello spazio’. Ma questa modulazione può avvenire secondo due modalità distinte: l’opera può essere concepita già in funzione dello spazio che verrà a occupare; oppure dovrà condizionare tale spazio con la sua presenza.
Nel caso di Mauro Staccioli ci troviamo quasi sempre di fronte a un’opera ideata già in funzione di un ambiente – urbano, agreste, domestico, ecc. – entro cui dovrà inserirsi; per cui la sua ideazione verrà, sin dalla fase embrionale, ad essere concepita con una sua predominante ‘necessarietà’. Così è accaduto per la gigantesca scultura di Seoul, o per quella sulla scalinata della Galleria d’Arte Moderna di Roma, così per la complessa inserzione ‘arborea’ nel Parco di Celle o nella delicata intrusione come ‘portale’ nel castello di Vigevano. E gli esempi potrebbero proseguire a lungo data la notevole e così differenziata produzione dell’artista che spazia dall’Italia al Belgio, dalla Repubblica di Andorra alla California. L’aspetto, tuttavia, che più di ogni altro emerge da tutta l’opera di Staccioli è il suo essere legata soprattutto a un linguaggio decisamente architettonico: un linguaggio che, sin dai suoi inizi, era proteso vuoi a occupare e modellare lo spazio esterno, vuoi a ‘inserirsi’, quasi forzandolo, nello spazio interno d’un edificio o d’un ambiente naturale; ma sempre secondo una prassi molto vicina a quella dell’opera architettonica.
Se, nelle ormai remote sculture degli anni ’70, come quelle poste ‘a difesa’ delle Balze volterrane, le opere di Staccioli erano armate di aculei metallici che aggredivano l’orizzonte, negli anni seguenti e sino ad oggi sono state concepite soprattutto come imponenti segnali – spesso giganteschi – nel caso di forme vuoi piramidali, rettangolari, sferiche, circolari, o spezzate – ma sempre accuratamente contrappuntate con l’ambiente circostante. Sicché anche dai minimi schizzi, dai disegni preparatori, venivano a ordirsi delle sagome sempre condizionate dall’atmosfera circostante. […] Gli schizzi, gli abbozzi, la documentazione di strutture ancora embrionali ma già identificabili, permettono di seguire alcune delle fasi ideative dell’artista, soprattutto per chi ne conosca le opere già esistenti. Anche in questo caso – ossia di fronte all’opera ancora in divenire – è possibile constatare come la stessa abbia sempre seguito quell’indirizzo plastico che è più prossimo all’universo architettonico che a quello della ‘decorazione’ o dell’oggettualità artigianale. Se infatti molti artisti dell’ultimo secolo (da Giacometti a Consagra, da Marini a Lipschitz) hanno sviluppato un linguaggio – vuoi figurativo che astratto – dove tuttavia era sempre presente il lato ‘ornamentale’ – Staccioli, come molti seguaci delle strutture primarie, da Richard Serra a Caro, da Newman a Morris – ha sempre dato la preferenza all’elemento strutturale senza mai cadere nella ‘piacevolezza’ del decorativismo o nella dimensionalità dell’oggetto domestico o della oreficeria. Mentre tutto l’impegno veniva conferito alla volumetricità e all’ingombro che le grandi masse potevano rivestire. […] Le sagome accennate, anche solo bidimensionalmente, sono sempre legate all’aurea geometria: triangoli, rombi, losanghe, leggermente colorate o acromatiche, sono le prime lettere di un successivo ‘racconto’. Un racconto plastico, molto severo e solenne, fatto per incidere in maniera perentoria sul luogo, sullo spazio, sul tempo; non destinato alla frivola cincischiatura di tante opere dei nostri giorni, pronte ad essere relegate a livello di soprammobili o di personale cosmesi. Se è probabile che l’opera di Staccioli può portare con sé una maggior difficoltà di collocazione e di ubicazione, in compenso avrà sempre quella dignità extratemporale che le conferisce, se non la certezza, la speranza della perennità.”

Gillo Dorfles, Prefazione, Mauro Staccioli. All’origine del fare, Corraini Edizioni, Mantova, 2008.