GIUSEPPE CHIARI | Cataloghi | |
mi hanno cercato | Mostra 2006 | |
Biografia |
A.: Nel tuo percorso biografico salta agli occhi come un artista che si propone inizialmente come “compositore”, faccia le sue prime sortite pubbliche, che avvengono nel 1962, non in sale da concerto, ma in alcune delle principali gallerie d’arte contemporanea del tempo: alla Galleria Blu di Milano con Gesto e segno, alla Galleria La Salita di Roma con Gesti sul piano e sempre a Roma, alla Galleria Numero, con Musica e Segno.
C.: Negli anni Cinquanta ho una vita artistica privata, sono uno che scrive, disegna, ma soprattutto compone e molte composizioni sono scritte non più su pentagramma, ma su una carta qualsiasi, spesso anche con tratti geometrici.
Frequento ambienti di amici poeti, Lamberto Pignotti, Sergio Salvi, che mi portano da Paszkowski, al tavolino di Bigongiari, Luzi, dove vengo accettato. Lì conosco Giorgio Bonsanti, direttore della rivista Letteratura, dove in seguito ospiterà un mio articolo, Il suono non è suono (Roma, 91/92, 1968), e rileggendolo mi stupisco di avere già allora idee così chiare, non molto diverse da quelle di oggi.
In questi anni conduco fondamentalmente una vita artistica da caffè, sono una figura di poeta da caffè: perché da Paszkowski si può fare tutto, si può arrivare con un disegno, con una composizione, recitare una poesia,… Durante una di queste serate partecipo in Palazzo di Parte Guelfa a Firenze a un dibattito di compositori sovietici, che girano il mondo per parlare male di Schönberg e della dodecafonia. In questa occasione conosco Pietro Grossi, professore di violoncello al Conservatorio Cherubini, che, finita la serata, mi invita a casa sua. Questo invito cambia la mia figura di artista. Grossi mi dà una struttura più scolastica, burocratica direi. Non si interessa minimamente alla mia musica, non vuol dare giudizi estetici, si interessa di principi. Quando gli faccio capire che scrivo musica secondo principi miei, matematici, aritmetici, di combinazioni, così un po’ alla dodecafonia, ma una dodecafonia estremamente libera, in maniera seriale, prende atto che sono questo tipo di compositore e a lui basta. È una vita che cerca di spiegare in conservatorio, con estrema timidezza, che si può scrivere della musica con una tecnica combinatoria.
Nel 1961 mi coinvolge nella fondazione di un’associazione musicale ”Vita musicale contemporanea”, ma non è un’associazione teoretica, è fattiva, si organizzano concerti, conferenze, dibattiti. Attraverso questo lavoro di coordinamento vengo in contatto con molti artisti, fra questi Sylvano Bussotti, con cui sviluppo una concreta collaborazione; ma è soprattutto dal suo amico Heinz Klaus Metzger, esperto di filosofia e musica contemporanea, che attingo un’enorme quantità di informazioni. Prendo da lui a man bassa, perché sono avido di cognizioni, di intendere la musica di altri. Questa messe di conoscenze alla lontana mi permette di entrare in Fluxus. Perché a Fluxus non si chiede molto, ma si chiede gente che sappia cosa succede nel mondo, estremamente informata.
Da una conversazione con Giuseppe Chiari, Andrea Alibrandi: intervista del 25 gennaio 2006 in catalogo