BRUNO GAMBONE |
Cataloghi | |
oggetti 1965-1970 |
Mostra 2014 | |
Biografia | ||
Gli oggetti di Bruno Gambone emersero nel corso di un decennio di straordinaria integrazione, sviluppo e progresso, non solo per la carriera di questo artista italiano, ma anche per le comunità culturali progressiste in cui egli si muoveva con notevole convivialità, entusiasmo e sicurezza, sia a New York che in Italia. Durante questo periodo, iniziato intorno al 1959, Gambone reindirizzò la sua attività professionale, dal fondamentale coinvolgimento nella produzione di ceramiche all’interno dell’affermata azienda fondata dal padre dieci anni prima, a essere attivamente partecipe nella cerchia dell’avanguardia di due nazioni.
Gambone, dunque, sfruttava a suo favore il duplice vantaggio dell’esperienza diretta di due centri di dibattito e di scambio tra artisti. A partire dal 1963 stette per quasi cinque anni negli Stati Uniti, ma aveva comunque mantenuto rapporti con i connazionali a Roma, Milano e altrove, trovandosi in prima linea tra i progressi delle applicazioni fisiche, tecnologiche e concettuali dell’arte non-oggettiva. Allo stesso tempo viveva a New York, che si era definitivamente affermata come capitale critica, creativa e commerciale del mondo dell’arte.
New York aveva assunto la sua posizione di preminenza con l’arrivo sulla scena della Pop art all’inizio degli anni ‘60, con mostre di Roy Lichtenstein e con l’entusiasmante presenza dell’influente cerchia di Andy Warhol. Gambone era stato presentato ad entrambi gli artisti non molto tempo dopo il suo arrivo e conosceva Warhol abbastanza bene da aver avuto un coinvolgimento nel film suo Empire, registrato fra le ore 20:06 e 14:42, durante la notte del 25-26 luglio 1964.
Da Martin Holman, Prospettiva storica su un arco di tempo. Una storia speculativa del viaggio di Bruno Gambone nello spazio, testo in catalogo
[…]
La tua personale alla Galleria del Cenobio nell’autunno del 1967? Come è nata la mostra?
Incontrai Alviani a New York, lui all’epoca collaborava con Germana Marucelli che conoscevo bene e per cui realizzai un progetto che ruotava intorno al tema delle farfalle.
[…]
La tua scelta di creare per l’occasione un ambiente spaziale in cui il visitatore potesse entrare, risente della lezione della coeva esperienza de Lo spazio delle Immagini che si era appena tenuta a Foligno?
La scelta dell’ambiente nasce più dall’esigenza dell’environment, non tanto da quanto fatto a Foligno, quanto dal momento storico-artistico. Non eravamo in tanti a realizzare opere del genere. Dopo quanto realizzato da Fontana, Scheggi, Alviani e Colombo avevano già sperimentato ambienti spaziali. A Foligno non venni chiamato e subito dopo ci fu un’altra esperienza analoga a Montepulciano. L’ambiente spaziale lo trovavo stimolante per la connessione che permetteva di creare con l’osservatore, lo costringe alla partecipazione attraverso la stessa occupazione dello spazio. Per esempio l’Ara che presentai all’Annunciata aveva una conformazione tale che impediva all’osservatore di percorrerla, poteva solo osservarla, era un altare impraticabile, volevo giocare sull’idea stessa della sacralità.
[…]
La mostra del Cenobio come venne recepita?
A Milano piacque molto, ricordo che Guido Ballo portò tutti i suoi allievi dell’Accademia di Brera. La presentazione alla mostra mi fu scritta da Germano Celant, una delle ultime sue cose prima che si dedicasse completamente all’Arte Povera. […]
Da Carolina Orlandini, Intervista a Bruno Gambone, testo in catalogo